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Home » Quel che le donne dicono » Violenza domestica, quando “restate a casa” è peggio del Coronavirus

Violenza domestica, quando “restate a casa” è peggio del Coronavirus

Pilar Castiglia Di Pilar Castiglia
30 Marzo 2020
in Quel che le donne dicono
Tempo di lettura:3 minuti di lettura
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Violenza domestica, quando “restate a casa” è peggio del Coronavirus
Facebook

Viste le costrizioni e le gravi conseguenze, anche economiche, che ne stanno derivando, la violenza potrebbe aumentare. Per denunciare chiamare il numero antiviolenza e antistalking 1522 o scaricare l’app della Polizia Youpol

In una recente nota delle Nazioni Unite si legge: “È molto probabile che i tassi di violenza domestica diffusa aumentino, come già suggerito dai dati iniziali di polizia e linee telefoniche dedicate. Per troppe donne e bambini, la casa può diventare il luogo della paura e dell’abuso; e la situazione si aggrava notevolmente in casi di isolamento come i confinamenti imposti dalla pandemia da coronavirus”.

Purtroppo, la violenza sulle donne, fenomeno marchio della nostra società non si arresta neanche di fronte alla situazione drammatica come quella che tutto il mondo sta vivendo. Non solo la violenza non si ferma, ma viste le costrizioni, le limitazioni e le gravi conseguenze, anche economiche, che ne stanno derivando, la violenza aumenta. D’altro canto, non poteva essere altrimenti poichè le dinamiche della violenza sono dinamiche interne alla coppia, sono dinamiche intime che trovano la loro origine nelle esperienze passate dai due membri della coppia che, pietosamente, si uniscono in un aggancio di dolore, di violenza, di morte. Il maltrattante è, a sua volta, figlio della violenza, fisica o psicologica, figlio della trascuratezza o figlio delle aspettative disilluse dei genitori. È figlio del non amore.

La vittima è figlia di esperienze passate che non le hanno consentito di sviluppare un’autostima tale da reagire, da scappare, da denunciare. La vittima è figlia del non amore. Entrambi, poi, sono figli di una cultura maschilista che concepisce la donna come colei che è brava e buona solo se perdona, solo se è paziente, solo se rimane un passo indietro rispetto all’uomo, solo se per amore dei figli, subisce e tace. Nella nostra ipocrita società, amare i figli significa salvare le apparenze, salvare la facciata della famiglia felice, agire come la tradizione ci impone. Rimanere sposati per tutta la vita, nel bene e nel male. Vittima e carnefice sono figli di una società sbagliata, di una famiglia malata, di stereotipi maschilisti e violenti che inculchiamo ai nostri figli sin da bambini.

Poteva il coronavirus cambiare tutto questo? Ovviamente, no! Anzi, la tensione tra le mura domestiche aumenta così come aumenta la violenza. Aumenta la violenza perpetrata in forma diretta sulle donne e quella perpetrata in forma indiretta sui bambini, i quali, in una condizione di costrizione come quella attuale, sono costretti ad assistere, giorno e notte, a botte, insulti, urli, scenate. Siamo sicuri che restare insieme a tutti i costi voglia dire amare i propri figli? O forse stare insieme a tutti i costi non è altro che una replica di ciò che maltrattante e vittima hanno vissuto da bambini? Forse è una replica di ciò che gli stereotipi della società ci impongono? Cioè stare insieme a tutti i costi!

Da quando siamo in isolamento, si è registrata una diminuzione delle denunce per i reati di genere e questa è una triste retromarcia rispetto al grande lavoro di diffusione e di prevenzione che si è svolto in questi ultimi anni. Seppur la attuale situazione sia drammatica, le donne vittime di violenza non sono sole. Rimanere a casa con il maltrattante potrebbe costare loro la vita o la vita dei loro figli. Le donne devono trovare il coraggio di denunciare e, se è necessario, anche di “farsi rifugiare” in una struttura protetta.

Nulla è cambiato rispetto al periodo pre-emergenza. Le donne che chiedono aiuto, vengono aiutate. Chiamate le Forze dell’Ordine, i Centri Antiviolenza, urlate, denunciate, scappate. Approfittate dei momenti in cui rimanete sole per telefonare. Non subite. Non rassegnatevi alla violenza. Potrebbe essere l’ultima volta che subite. L’ultima che vi rassegnate. C’è il rischio che non potrete neanche più subire. C’è il rischio che non potrete neanche più rassegnarvi. C’è a rischio la vostra vita. C’è a rischio la vita dei vostri figli. Denunciare, sempre. Virus o non virus.

DENUNCIATE RIVOLGENDOVI AI CENTRI ANTIVIOLENZA,  TELEFONANDO AL NUMERO ANTIVIOLENZA 1522, UTILIZZANDO L’APP DELLA POLIZIA YOUPOL

Il videomessaggio del ministro Luciana Lamorgese contro la violenza domestica

Tags: coronaviruscovid 19quel che le donne diconoviolenza di genereviolenza domesticaviolenza donne
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Pilar Castiglia

Pilar Castiglia

Avvocata, Presidente del Centro Antiviolenza Antistalking "Calypso" di Biancavilla. Vicepresidente del Coordinamento Donne Siciliane e responsabile dell'ufficio legale dello stesso.

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