La storia di un ragazzo paternese che qualche giorno fa ha ricevuto un rene da una coetanea morta a Milano, consapevolmente donatrice di organi
Fabrizio è un ragazzo paternese di 26 anni, con una grande passione: l’Inghilterra. Il fascino della cultura, la storia, la musica, gli aspetti british lo attirano in Gran Bretagna come una calamita. Alla sua età i sogni sono tanti: lavorare, fare esperienze, arricchirsi di cultura. Poi, dopo alcuni esami clinici, due anni fa quando era già oltre la Manica arriva un maledetto giorno, un sabato di maggio in cui tutti i sogni si dissolvono nella diagnosi che impietrisce Fabrizio e i suoi cari: la Pericardite, che causa una insufficienza renale. Un’infiammazione al cuore non diagnosticata, che ha compromesso il funzionamento dei reni, conducendo il paziente a seguire una terapia molto dura: l’emodialisi.
Inizia la prima terapia di emodialisi al centro trapianto di Londra all’Hammersmith Hospital, ma spinto dai medici Fabrizio torna in Sicilia, per continuare a curarsi e ad affrontare il tutto con la vicinanza dei suoi amici e della sua famiglia.
È al Cannizzaro di Catania che inizia un percorso lungo e tortuoso, ci sono voluti tre mesi di esami e accertamenti per arrivare ad una idoneità totale per l’inserimento in lista trapianti.
Il 22 settembre 2015 Fabrizio è stato inserito in due liste trapianti a Catania con un’attesa prevista di quattro anni. L’attesa è stata dura, in assenza delle funzionalità renali, la terapia di emodialisi doveva assolutamente procedere: «L’emodialisi ti costringe a stare legato a questa macchina – spiega Fabrizio – e io dovevo farlo tre volte a settimana per quattro ore ogni seduta. Mi ha aiutato a vivere, ma a lungo andare sentivo la pesantezza, dopo la dialisi mi sentivo stanco, dovevo bere poco e niente e mangiare cibi secchi».
Quattro anni di attesa sono tanti, solo dopo sei mesi con l’aiuto dei parenti milanesi Fabrizio parte e si reca al Policlinico Maggiore di Milano, lì viene inserito immediatamente in sei liste diverse per il trapianto, con un’attesa di un anno e mezzo. Dopo questa dura esperienza la sua vita si riempì di speranze ma: «Alla parola trapianto tutto si congelò, vidi la mia vita passarmi davanti mentre pian piano cadeva a pezzi, il cambiamento si mi spaventava molto, non sapevo cosa fosse il mondo delle donazioni e dei trapianti se non per sentito dire. Ricordo quando mi collegarono la prima volta alla macchina per la dialisi, provai una sensazione di frescura ed il sangue che si generava, un computer doveva svolgere un compito che il mio corpo non riusciva; sete e tanta stanchezza alla fine di ogni seduta, non riuscivo nemmeno a respirare per il forte dolore al petto. È al centro “Rene Diaverum” di Paternò che trovai uno staff gentile e premuroso, Graziella, Maria, Mara il signor Aricò e tanti altri, loro fecero diventare la dialisi quasi piacevole, curavano i miei sorrisi e le mie speranze. Ma soprattutto grazie alla dottoressa Valenti che sin da subito fece di tutto per avviare le pratiche per l’inserimento in lista trapianto, consigliandomi sin da subito il Policlinico Maggiore di Milano».
Milano è stata la speranza, il Policlinico Maggiore Niguarda è un ospedale di eccellenza internazionale, pensare di ricevere una donazione a Catania solo dopo quattro lunghi anni è un’attesa snervante per qualsiasi persona. Nonostante i grandi passi avanti fatti negli ultimi anni, le liste d’attesa sono ancora molto lunghe e bisogna continuare a fare di più. Ma bisogna non perdere mai la speranza perché tutto può cambiare. E per Fabrizio tutto cambia venerdì 28 luglio 2017 alle ore 23:47, quando squilla il cellulare con il prefisso di Milano, esattamente dopo un anno e tre mesi dall’inserimento in lista trapianto la voce all’altro capo del telefono chiede: «Abbiamo una donatrice per lei, vuol ricevere il trapianto?»
Una particolarità viene subito riferita al telefono, la donatrice in questione non era inserita nella lista d’attesa del paziente. Dopo aver fatto gli esami insieme alla dottoressa Valenti la stessa sera, si è subito palesata la perfetta compatibilità. Accertata l’idoneità sia del donatore che del ricevente, Fabrizio già la mattina seguente è a Milano insieme alla sua famiglia, al termine di una notte frenetica. All’arrivo al Policlinico Maggiore, tutto viene preparato per l’intervento. La dottoressa che lo ha seguito si è battuta sin da subito affinché avvenisse il trapianto, la donatrice era una coetanea che, sapendo di chiudere la sua esistenza a causa di una malattia, ha voluto consapevolmente donare il suo rene.
Un’operazione durata cinque ore, il corpo di Fabrizio durante l’operazione ha subito accettato l’organo, il collegamento tra il rene e le vene principali ha fatto reagire positivamente il corpo. I medici hanno immediatamente capito che l’organo era in funzione per una perfetta unione di Dna. «Non eravamo parenti ed è questa la cosa che mi fa emozionare – dice Fabrizio – una perfetta sconosciuta mi ha salvato la vita, è stata un’esperienza emotivamente molto intensa. So di essere vivo, di stare bene grazie a questa ragazza, grazie a questi medici e alla medicina». La riuscita del trapianto è come se fosse avvenuta tra un parente e una persona vivente, in realtà la donatrice non aveva un legame di sangue; la ragazza ha avuto dei problemi differenti e prima di morire ha deciso di donare i suoi organi.
La donazione è vita, il trapianto è vita, donare è il gesto d’amore più grande in assoluto, la donatrice ha avuto la consapevolezza che stava per morire ed ha detto di sì alla donazione, per salvare una vita. «La mia donatrice è la mia guardiana lei è la mia salvatrice, lei mi ha donato vita e la mia nuova vita la devo a lei, sappi che dal mio più profondo cuore ti amo, io ti amo».
Occorre sensibilizzare la gente sull’importanza della donazione, perché non dare speranza a chi veramente soffre? Perché non migliorare la qualità di vita di molti pazienti che soffrono? Il trapianto rappresenta una speranza di vita per il ricevente e, nello stesso tempo, un atto d’amore per il donatore.
Abbiamo chiesto a Fabrizio qual è il messaggio di speranza per tutte quelle persone che stanno soffrendo: «Ho imparato che come l’Araba Fenice, capace di risorgere dalle proprie ceneri, anche noi dobbiamo imparare a rinascere attraverso il dolore. Ognuno, la forza la trova dove meglio crede, io l’ho trovata nelle piccole grandi cose ma indispensabili: nelle lunghe passeggiate a mare, nell’arte, nei libri, ma soprattutto nella famiglia a cui dico grazie, grazie agli amici, grazie ai miei meravigliosi cugini, grazie a tutti i dottori che mi hanno fatto stare bene. Se sei circondato da persone che hanno il pregio di farti ridere, anche una passeggiata al centro commerciale diventa un rituale, allora quella è la strada giusta. Non dico di nascondere il dolore, non serve a niente fuggire dai problemi, affrontateli a testa alta, la vita non è ingiusta o egoista, la vita è vita!»