“Difetto di notifica”, il “santone” e le sue complici alla sbarra in autunno. Intanto oggi la costituzione delle parti civili
Sarà un processo a porte chiuse, quello denominato “Dodici apostoli” e che vede alla sbarra il “santone” Pietro Alfio Capuana, 75 anni, bancario in pensione padre dell’ex assessore provinciale Daniele Capuana e le sue presunte complici: Katia Concetta Scarpignato, di 59 anni, Fabiola Raciti, di 57, e Rosaria Giuffrida, di 59. L’accusa è, a vario titolo, quella di presunti abusi sessuali su minorenni. Il processo, che si è aperto oggi davanti alla seconda sezione penale del Tribunale di Catania, presieduta dal giudice Ignazia Barbarino, è stato subito rinviato per difetto di notifica al 14 ottobre.
È stata la Procura della Repubblica a presentare la richiesta di celebrazione a porte chiuse, accolta dal presidente, per la delicatezza dei temi trattati. Alcune delle vittime si sono già costituite parte civile insieme alle associazioni antiviolenza. Ha annunciato la costituzione di parte civile anche la Diocesi di Acireale (sotto la nota diramata) che lo farà nella prossima udienza.
Col rito abbreviato verrà processato Salvatore Torrisi, uno dei tre indagati per favoreggiamento, ex presidente dell’Associazione cattolica “Cultura ed ambiente”. La prima udienza è stata fissata al 28 ottobre. In attesa della decisione del Giudice per l’udienza preliminare la richiesta di rinvio a giudizio della Procura per l’ex assessore e deputato regionale, Mimmo Rotella, marito di Rosaria Giuffrida, e per padre Orazio Caputo.
Secondo l’accusa, gli abusi nei confronti delle ragazzine erano presentati come purificazione compiuti da un “arcangelo”.
La nota della Diocesi di Acireale
Il 13 maggio nel Tribunale di Catania si è aperto il procedimento a carico di persone che hanno fatto parte della cosiddetta “comunità di Lavina”. Distinguendo queste persone dagli altri componenti dell’associazione ACCA e da quanti hanno partecipato alle sue attività sociali e religiose, è noto che esse vi hanno svolto un ruolo chiave, proponendo la “comunità” con le sue attività presso le autorità della Diocesi, presso il popolo cristiano e presso l’intera società come entità e opera di apostolato cattolico. Se le accuse saranno provate, sarà evidente che tali persone hanno arrecato un grave danno ai cattolici e alla Diocesi, per lo scandalo conseguente. Al fine di tutelare il bene della fede dei cattolici, che la Diocesi rappresenta e custodisce, quest’ultima ha chiesto al giudice di costituirsi parte civile nel suddetto processo, partecipando in tal modo attivamente a meglio far emergere la verità.