Oggi si terrà a Palermo XXXI la commemorazione dell’Anniversario della strage di via D’Amelio avvenuta la domenica del 19 luglio 1992 in cui è stato ucciso il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, risvegliatosi in ospedale dopo l’esplosione, in gravi condizioni. La commemorazione odierna avrà inizio alle 8.45 con deposizione di Corone di Alloro alla lapide posta in ricordo dei Caduti all’interno dell’Ufficio Scorte della caserma “P. Lungaro”, alla presenza del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro dell’Interno e del Capo della Polizia e delle più alte Autorità, di personale della Polizia di Stato e dei familiari delle Vittime; alle 12.30 ci sarà la cerimonia liturgica presso la chiesa Santa Maria della Pietà alla Kalsa sita in via Torremuzza n.1, officiata dall’Arcivescovo di Palermo S.E. Lorefice, alla presenza delle più alte Autorità locali, civili e militari, di personale della Polizia di Stato e dei familiari dei Caduti.
Era la domenica del 19 luglio 1992, la mafia uccideva il Magistrato dr. Paolo Borsellino e la sua scorta. Ancora oggi la verità non è del tutto conosciuta. Il 19 luglio 1992, alle ore 16:58, una Fiat 126 rubata contenente circa 90 chilogrammi di esplosivo del tipo Semtex-H (miscela di PETN, tritolo e T4) telecomandati a distanza, esplose in via Mariano D’Amelio 21, sotto il palazzo dove viveva la madre di Borsellino, presso la quale il giudice quella domenica si era recato in visita; l’agente sopravvissuto Antonino Vullo descrisse così l’esplosione: “Il giudice e i miei colleghi erano già scesi dalle auto, io ero rimasto alla guida, stavo facendo manovra, stavo parcheggiando l’auto che era alla testa del corteo. Non ho sentito alcun rumore, niente di sospetto, assolutamente nulla. Improvvisamente è stato l’inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L’onda d’urto mi ha sbalzato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c’erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto …”. Lo scenario descritto da personale della locale Squadra Mobile giunto sul posto parlò di “decine di auto distrutte dalle fiamme, altre che continuano a bruciare, proiettili che a causa del calore esplodono da soli, gente che urla chiedendo aiuto, nonché alcuni corpi orrendamente dilaniati”. L’esplosione causò inoltre, collateralmente, danni gravissimi agli edifici ed esercizi commerciali della via, danni che ricaddero sugli abitanti. Sul luogo della strage, pochi minuti dopo il fatto, giunse immediatamente il deputato ed ex-giudice Giuseppe Ayala che abitava nelle vicinanze. Gli agenti di scorta ebbero a dichiarare che la via D’Amelio era considerata una strada pericolosa in quanto molto stretta, tanto che, come rivelato in una intervista rilasciata all’epoca alla RAI da Antonino Caponnetto (un magistrato italiano, noto soprattutto per aver guidato, dal 1983 al 1988, il Pool antimafia ideato da Rocco Chinnici – altro Magistrato anch’esso ucciso dalla mafia a 58anni il 29 luglio 1983 con una Fiat 126 verde, imbottita con 75 kg di esplosivo parcheggiata davanti alla sua abitazione in via Giuseppe Pipitone Federico a Palermo – era stato chiesto alle autorità di Palermo di vietare il parcheggio di veicoli davanti alla casa della madre del Magistrato Paolo Borsellino, richiesta rimasta però senza seguito. Sono passati 31 anni, quattro lungi processi con notori depistaggi di ogni genere. Basta rammentare che fino al 2009, cioè per 17 anni, tutti i giudizi fino alla Cassazione, avevano sentenziato che ad eseguire l’attentato era stato tra gli altri un certo Vincenzo Scarantino, un picciotto della Guadagna un quartiere di Palermo (dove si trovavano anche scritte “w la mafia”) che si era autoaccusato del furto della 126 fatta esplodere a via d’Amelio. Poi le rivelazioni di un collaboratore di giustizia, Gaspare Spatuzza, la cui attendibilità è risultata ripetutamente riscontrata, svelò che i processi Borsellino uno e bis contenevano un lampante depistaggio costituito proprio dalle dichiarazioni inventate dello Scarantino, che a quel punto confessò questi suoi depistaggi. Nei processi a seguire furono accusati dei poliziotti che avrebbero distratto i Magistrati dalle cui decisioni e indirizzi per legge dipendevano i predetti agenti, anche questi ultimi infine assolti.
DUE SOGGETTIVE CONSIDERAZIONI
Non ci si può non chiedere come sia stato possibile che ancora nel 2009, i precedenti Giudici, fino al terzo grado, non avevano compreso il depistaggio ? Sarebbe come se si portasse un legno molle ad un falegname per farne un robusto tavolo e questi lo realizzasse lo stesso pur sapendo che comunque non reggerà. Non potrebbe non accorgersene un falegname, anche quando non laureato in biochimica. Un profano come me forse potrebbe non vederlo. Tale lunga incomprensione giudiziaria troverebbe peraltro un ulteriore appiglio nelle recenti dichiarazioni dell’aprile 2023 dell’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia del giudice Paolo Borsellino e marito di Lucia Borsellino, la figlia maggiore del giudice uccisi in via D’Amelio, commentando la sentenza della Corte di Cassazione che ha definitivamente chiuso Giudizio sulla trattativa “Stato-mafia” assolvendo gli imputati “adesso è arrivato il momento di concentrarsi sul ‘nido di vipere’ di cui parlava Paolo Borsellino… Si sono persi tanti anni preziosi. Ora, finalmente, c’è spazio per la verità storica”. Negli anni ’90 durante il procedimento di primo grado del processo “Bagarella e altri”, il magistrato Massimo Russo che era stato un giovane collaboratore di Borsellino, dichiarò che, un mese prima di morire, Paolo Borsellino “appariva come trasfigurato, senza più sorrisi. Era provato, appesantito, piegato”. Da poche settimane la mafia aveva ucciso il suo amico Giovanni Falcone e lui continuava a lavorare nel suo ufficio di procuratore aggiunto a Palermo, che però considerava – dichiarò sempre Russo – “un nido di vipere”.
Sono passati 31 anni, la verità non sembra ancora si conosca. I presunti mandanti occulti continuano a rimanere celati. Sul sistema dei mandanti in generale una personale osservazione empirica: il sistema mi venne raccontato molti anni addietro (quando ancora troppo giovane non avevo capito certo “Stato”): in una segreteria di partito, oppure anche in istituzioni, ma come pure in un ufficio di Regione, Provincia, Comune, Enti, Partecipate, o anche in “nobili” associazione, alla richiesta di un “favore” ci si sente rispondere che si è assillati da un “infame” (una volta in un assessorato regionale un alto funzionario – di quelli che mi faceva venire da vomitare – definiva “fiduso” un Magistrato che notoriamente si batteva contro la mafia e dalla quale fu ucciso insieme alla moglie e gli agenti di scorta) e quella “insofferenza” equivale ad una condanna più o meno drammatica per il designato, come pure, se eseguita, il tacito conseguente “favore” per il richiedente o per il suo tramite che poteva essere un avvocato o altro professionista oppure “intermediario”. Non a caso negli anni ho utilizzato un termine per racchiudere altri vocaboli similari (quali: corruzione, concussione, connivenza, spartizione, omertà, retorica): COMMISTIONE, oggi più che mai, almeno per chi ancora può e vuole vedere, costituzionalizzatasi. D’altra parte, una frase che viene ascritta al Magistrato Paolo Borsellino, era ed è significativa di una certa decennale generalizzata quanto dissimulata cultura italiana e specialmente siciliana: Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio, o si fanno la guerra o si mettono d’accordo. In questo nuovo secolo mi sembra di potere ritenere che politica e mafia abbiano trovato il modo di mettersi d’accordo anche adeguandosi le norme.
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