“dati fattuali verificatisi nella zona di Belpasso in merito alla devastazione del territorio, e non da mere fantasie. Preannuncio ricorso in appello dopo avere letto le motivazioni della sentenza”
La condanna di un giornalista per un articolo è, solitamente, pratica di Paesi in cui la libertà di stampa è quantomeno zoppicante. In Italia ciò avviene raramente, ma se avviene rappresenta un campanello che suona per ricordarci che qualcosa non funziona. Ritrovarci al 73° posto nella classifica mondiale della libertà di stampa conferma questo “qualcosa”.
Di questi giorni la condanna subita dal giornalista belpassese (già direttore di Ciak Telesud) Luciano Mirone, per un articolo scritto tre anni fa in cui parlava dell’ex Sindaco di Belpasso, e attuale deputato regionale, Alfio Papale, il quale, sentitosi offeso da alcune frasi, ha presentato querela.
Non ho le competenze per entrare nel merito della questione e, comunque, è legittimo l’atteggiamento di chi, sentendosi diffamato, chiami in giudizio il giornalista autore dell’articolo. Tuttavia, ritengo che, nel caso specifico, la questione può essere ridotta a due casi: 1) o Luciano Mirone è talmente sprovveduto da beccarsi una condanna; 2) la condanna è abnorme. Conoscendo da tanti anni Luciano, non credo si possa applicare su di lui il caso 1. Per cui opto per il caso 2. Di certo nel prosieguo del processo, che andrà avanti, Luciano saprà far valere le sue ragioni e quelle della libertà di stampa.
In ultimo, da piccolo giornalista di provincia, consiglierei ai politici di casa nostra, in casi simili, di controbattere, sfidarci in pubblici confronti, insultarci – se lo ritengono opportuno – ma di evitare le aule del tribunale: chiedere ad un giornalista 10 mila Euro significa mostrare il bastone a tutta la categoria, ovvero limitare la libertà di stampa.
Di seguito il testo pubblicato da Luciano Mirone sul suo profilo Facebook
Lo scorso 22 febbraio il Giudice monocratico della Quarta sezione penale del Tribunale di Catania, nella persona del dott. Domenico Stilo, ha emesso sentenza di condanna nei confronti del sottoscritto alla pena della multa di duemila Euro (pena sospesa) per il reato di diffamazione relativo ad un articolo risalente a tre anni fa, per il quale il deputato regionale Alfio Papale, sentitosi diffamato, aveva presentato querela, costituendosi parte civile nel relativo processo.
Nell’articolo incriminato si parlava di abusivismo edilizio e di cementificazione selvaggia nel territorio dove Papale è stato sindaco, assessore e consigliere comunale per trent’anni. Il Giudice – recita il dispositivo della sentenza – “condanna altresì l’imputato… alla riparazione pecuniaria di cui all’art. 12 della legge 47/48, il tutto da liquidarsi in separato giudizio civile riconoscendo frattanto una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 10.000 in favore della stessa parte civile”. A questo bisogna aggiungere le spese processuali di circa quattromila Euro e la pubblicazione di un estratto della sentenza sul periodico www.linformazione.eu e sul quotidiano “La Sicilia”.
Il sottoscritto rispetta la sentenza, pur non condividendone le statuizioni, ma non si fermerà ad accettarla passivamente, considerando incredibilmente abnorme il risarcimento del danno stabilito per la parte civile, atteso che, a suo parere, è stato ignorato il diritto di critica (cosa ben diversa del diritto di cronaca) sancito da numerose sentenze della Cassazione, fra cui quella della Sez. V Penale, Sentenza 28 dicembre 2011, n.48553, dove viene affermato che “La scriminante del diritto di critica si sostanzia nella valutazione argomentata di condotte, espressioni e/o idee, per cui perché vi sia esercizio del diritto de quo è necessario che il giudizio (anche severo, anche irriverente) sia collegato col dato fattuale dal quale il “criticante” prende spunto”.
Tale sentenza, in presenza di taluni elementi, supera il concetto dei limiti della “continenza”, in quanto spiega le funzioni del diritto di critica – concetto che dà un significato più esteso del diritto di cronaca – e sancisce chiaramente che per esercitare tale diritto “è necessario che il giudizio (anche severo e/o irriverente) sia collegato col dato fattuale dal quale il ‘criticante’ prende spunto”.
Pertanto, affinché si possa obiettivamente valutare tale aspetto, occorre porre l’attenzione sulla sussistenza o meno del dato fattuale preso in considerazione dal giornalista. In quella occasione i giudici di legittimità hanno evidenziato che il requisito della “verità” si profila in maniera ben diversa rispetto a quanto accade nel diritto di cronaca, atteso che un’opinione non è vera o falsa, ma vero o falso può essere il presupposto fattuale sul quale essa poggia. Infine si afferma – sempre in quella sentenza – che un uomo politico è più esposto del comune cittadino alle critiche ed ai giudizi della opinione pubblica, in ragione del mandato rappresentativo che ha ricevuto e, dunque, della necessità di rendere conto del suo operato.
Il sottoscritto sottolinea che l’articolo incriminato – seppur forte nei toni – prende spunto da alcuni “dati fattuali” verificatisi nella zona di Belpasso in merito alla devastazione del territorio, e non da mere fantasie del giornalista, e preannuncia comunque che ricorrerà in appello dopo avere letto le motivazioni della sentenza (che verranno depositate nel termine di 90 giorni) e che continuerà a svolgere serenamente il proprio lavoro di giornalista contro il malaffare e la cattiva politica, ringraziando chi in questi anni gli è stato vicino, e riponendo, come sempre, la massima fiducia nella giustizia.
Luciano Mirone
sarebbe anche auspicabile che prima di schierarsi a priori ..leggere la querela e la sentenza
gentilissimo, non ho commentato la querela; infatti scrivo “Non ho le competenze per entrare nel merito della questione e, comunque, è legittimo l’atteggiamento di chi, sentendosi diffamato, chiami in giudizio il giornalista autore dell’articolo”. Il mio ragionamento è un altro: 1) perchè andare in tribunale e non chiedere un confronto pubblico? 2) Un politico che chiede 10 mila euro, non induce a pensare che vuol spaventare i giornalisti per evitare articoli sgraditi?. Non entro nel senso delle parole scritte nell’articolo, e cioè se sono diffamanti o meno. Grazie per il commento, saluti.
non per polemica ..ma dice anche “2) la condanna è abnorme. Conoscendo da tanti anni Luciano, non credo si possa applicare su di lui il caso 1. Per cui opto per il caso 2. “..per cui ritengo che conoscere i fatti sia nella querela che nella sentenza sia fondamentale..anche perchè alle due opzioni ci potrebbe esserne anche una terza
La pensi come vuole: conosco Luciano e sono certo che avrà utilizzato un linguaggio idoneo a non incorrere in una condanna; per cui credo che alla lunga avrà ragione.
Per me il politico non dovrebbe mai querelare quando si discute di questioni politiche; esistono tutti i mezzi a disposizione per poter replicare e difendere le proprie ragioni (testi, video, social, tv, confronto pubblico etc.).
Se un politico chiede 10 mila Euro per un articolo in cui viene tirato in ballo su questioni politico-amministrative, interpreto questo atto come un monito a tutta la stampa: “Non scrivete su di me perché vi costerà caro”. Un saluto
Chiedo scusa, ma dare ragione ad una persona solo perché “Conoscendo da tanti anni Luciano, non credo si possa applicare su di lui il caso 1. Per cui opto per il caso 2” cioè “la condanna è abnorme” mi sembra un sillogismo un po’ troppo azzardato se non frettoloso o, peggio, di comodo. Pur essendo, professionalmente, il sottoscritto anche un difensore di ufficio, non penso che il giornalista ne abbia bisogno. Nè, a priori, si può colpire la Giustizia quando fa il suo mestiere. Sennò si dovrebbe dire che il giornalista, a priori, ha il diritto di dire quello che vuole, ammantandolo di un indiscutibile “diritto di cronaca e di critica”. Il giornalista, coevamente alla affermazione dei suoi diritti deve rispettare anche quelli degli altri. Ben venga, quindi, un irrinunciabile appello alla sentenza, ma sarebbe meglio se, oltre a preannunciarlo, il giornalista facesse leggere il suo articolo del tempo che, purtroppo, ci è sfuggito.
Ho assoluto rispetto per la sentenza e concordo con Lei sull’irrinunciabile appello; 10 mila euro mi sembrano, comunque, eccessivi anche alla luce di sentenze simili giunte in questi anni. Ritengo che i miei precedenti commenti chiariscano la mia posizione, per cui non commenterò oltre. Grazie per il suo intervento, saluti
Turi Mirenna , il problema sta proprio nel non dire esattamete il perchè Ing Papale si è sentito diffamato …tanto da agire con querela…basterebbe leggere le spiegazioni postume del giornalista ” al titolo dell’articolo ” ma postume…
a sola precisazione ecco cosa aveva scritto per usare un linguaggio idoneo : estratto dalla sentenza
“Inoltre, ie espressioni “imbroglione”, ” faccendiere ” e
.” devastatore,”, superano in maniera evidente i limiti della continenza stabiliti dalla Suprema Corte neil’esercizio
del diritto di critica.