Foto di Dino Stornello
Articolo di Donatella Turillo.
Il Teatro Canovaccio di Catania ha ospitato dal 31 ottobre al 2 novembre, un’opera audace e indispensabile: “Sogno di un’antica speranza”, testo e regia di Gianmarco Arcadipane, interpretato da Nicola Costa, Ornella Brunetto e Arcadipane stesso.
Le aspettative del pubblico sono alte. Portare in scena Giorgio Gaber richiede molto coraggio da parte del regista e degli attori. Il confronto con un “fantasma ingombrante” qual è il grande cantautore Gaber cammina sul filo del rasoio fin dall’apertura della scena.
Il buio assoluto avvolge la sala a sipario chiuso. Il religioso silenzio è la prima, potentissima scenografia. La ferma attesa cede il passo ad un lieve fruscio e poi d’impatto il riecheggiare di una notizia andata in onda al Tg1 nel 2003 che annuncia la triste perdita di Giorgio Gaber:
“E’ morto uno dei più noti cantautori italiani Giorgio Gaber scomparso a 73 anni dopo una lunga e sofferta malattia nella sua casa a Montemagno in provincia di Lucca. Se n’è andato un grande dello spettacolo, un poeta, un maestro che ha avuto una delle evoluzioni artistiche più coraggiose e originali del mondo della canzone. Prima un successo popolare con Porta Romana, Il Riccardo, Barbera e Champagne poi la canzone d’autore con il Signor G; e ancora la canzone che diventa teatro, assumendo una forma assolutamente inedita. E’ stato sempre un originale Gaber, uno che non ha mai anteposto le mode del mercato alla sua arte, era un cantautore al di fuori degli schemi, era Gaber e basta. E quando parlava, quando cantava si stava ad ascoltare perché il Signor G ci ha fatto ragionare sul nostro tempo, sulla nostra vita, sulla politica scegliendo la via più difficile, quella che fa i conti con il coraggio delle proprie idee e di coraggio Gaber ne ha avuto tanto. Ce n’era per tutti: destra, sinistra, centro; era l’uomo che gli interessava più che la politica che lo aveva deluso e diceva anche che la sua generazione lo aveva deluso. Se n’è andato troppo presto Giorgio Gaber lasciando soprattutto un luogo, un dolore che nessuno potrà colmare, lasciando le sue canzoni”.
Da questo momento in poi lo spettacolo è un crescendo di emozioni, di ricordi, di dolori mai assopiti di amare constatazioni sociali e politiche messe in luce dal genio artis6tico di Gaber ed ancora desolatamente attuali, se non peggiorate.
Un tributo alla forma del Teatro-Canzone che rese celebre Gaber stesso. La scenografia è asciutta, quasi didattica, antologica. Cornice essenziale all’interno della quale Costa, Arcadipane e Brunetto hanno ripercorso in maniera eccellente le tappe artistiche di Gaber, dagli anni ’50 e quindi dagli esordi della sua carriera, agli anni ’80. Al centro del palco spoglio, domina un unico elemento: un albero, simbolo potente e immediato che evoca il tema del ritorno alla naturalità, intesa come fuga dal sociale e dalla politica.
L’operazione drammaturgica di Arcadipane diventa per il pubblico un viaggio intimo e complesso nell’eredità artistica e umana del grande cantautore. Un percorso che impone una continua riflessione, dai ritmi costanti in cui Nicola Costa e Gianmarco Arcadipane hanno abbracciato i personaggi rendendoli veri anche nelle piccole sfumature, nei piccoli gesti del corpo.
“Sogno di un’antica speranza” ripercorre trent’anni di storia italiana rappresentandola attraverso il personaggio di Gaber in un sogno che infrange le certezze, e dissolve le convinzioni. Una perfomance che non delude e diventa un atto dovuto a Giorgio Gaber, alle sue lotte all’omologazione culturale, alla borghesizzazione, alla libertà svuotata, ed ancora all’omologazione mascherata, alla crisi degli ideali.
In questo raffinato excursus storico in cui salgono sul palco Mogol, Tenco, Mina, Celentano, Jannacci, Battiato e lo storico co-autore di Gaber Sandro Luporini si ha la netta sensazione di assistere dal vivo ai dialoghi tra i grandi artisti dello spettacolo. Tante le mises en scène su cui puntare l’occhio di bue, l’impegno e la bravura di Arcadipane e Costa fanno in modo che la durata dello spettacolo di un’ora e quaranta minuti scorra veloce.
Tra i momenti di verosimile drammaturgia c’è quello della genesi del brano “La Libertà” in cui si assiste quasi ad uno sketch all’interno della perfomance stessa, in cui emerge la sincera amicizia tra Gaber e Luporini. La naturalezza delle movenze degli attori ne riassumono la loro bravura. Si potrebbe dire che se Gaber fosse stato tra il pubblico li avrebbe sicuramente applauditi. In realtà Gaber era presente e non era affatto un fantasma. Era ed è vivo tuttora tra i giovani, tra coloro che vanno oltre alle effimere e talvolta falsificate informazioni dei media. Gaber è ancora necessario.







