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Home » Quel che le donne dicono » “Gaslighting”, la violenza psicologica che fa male come quella fisica

“Gaslighting”, la violenza psicologica che fa male come quella fisica

Pilar Castiglia Di Pilar Castiglia
30 Maggio 2016
in Quel che le donne dicono
Tempo di lettura:5 mins read
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“Gaslighting”, la violenza psicologica che fa male come quella fisica
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Un termine che nasce dall’opera teatrale Gas light e dai film di Hitchcock “Rebecca – la prima moglie” e “Angoscia”: c’è sempre un uomo che vuol portare la moglie alla follia

La violenza non è solo quella fisica. Vi è una forma di violenza più sottile, più insidiosa, più lacerante: la violenza psicologica. Quella violenza fatta di parole pungenti, di silenzi più distruttivi degli urli, di comportamenti sottili apparentemente normali ma che invece sono carichi di ostilità e di conflitto. C’è un termine che identifica bene queste forme di comportamento deviate, “patologiche”, “malate”: gaslighting.
Il gaslighting è una forma di manipolazione che pone la vittima in una posizione di totale sudditanza, di inferiorità rispetto al partner, di dubbio rispetto ai propri pensieri, di sensi di colpa, di senso di inadeguatezza e, nel tempo, di totale annullamento.
Il termine deriva da un’opera teatrale del 1938 Gas light (Luci a gas) e da due adattamenti cinematografici di Alfred Hitchcock “Rebecca – la prima moglie” e “Angoscia” (nella foto una scena).
La trama racconta di di un uomo che cerca di portare la moglie alla follia modificando l’ambiente in cui vivono per poi convincere la moglie che in realtà nulla sia stato modificato ma che lei sia pazza, che lei sia visionaria.

 

Ebbene, purtroppo cose del genere non accadono solo nei film, una donna che si è rivolta a me per fare un chiacchierata di confronto mi ha raccontato che il compagno faceva sparire degli oggetti che fino ad un attimo prima si trovavano sul tavolo e quando lei gli chiedeva dove fossero quegli oggetti, lui rispondeva che non c’erano mai stati.
Alle insistenti domande di lei, inizialmente convinta della presenza di quegli oggetti, lui le rispondeva: «Amore, sei così stanca, non c’era nulla sul tavolo, vai a riposare, lavori troppo». A quel punto, dietro ulteriori insistenze della donna, allora il compagno iniziava ad urlare e ad accusarla di essere infida, di essere polemica, di volere cercare la lite ad ogni costo: «Sei sempre tu! Non c’era nulla sul tavolo! Cosa vuoi dire? Che sono stato io? Tu sei pazza! Tu sei ossessiva! Tu sei visionaria! Ora lasciami stare! Vattene! Sono arrabbiato! Hai rovinato la domenica! Sei sempre tu! Non puoi fare a meno di litigare!».
Risultato: la donna, invasa dai sensi di colpa finiva con il mettere in dubbio la sua stessa vista convincendosi che l’oggetto non ci fosse mai stato e arrivava a chiedere scusa all’uomo dandogli forza e potere e dubitando di se stessa, dubitando della sua stessa vista, della sua stessa percezione.

Mi ha raccontato che quando arrivavano telefonate di altre donne che lei riusciva a intravedere sullo schermo del telefono del compagno, lui, con un gesto repentino, le cancellava dalla cronologia e mostrandole il telefono le faceva vedere che l’ultima telefonata fosse quella di un cliente o di un amico o del fratello.
La donna si tormentava essendo sicura di avere letto nomi di donne sullo schermo del telefono ma nello stesso tempo subiva un bombardamento da parte di lui il quale, mostrandole il telefono, le forniva la prova della sua innocenza e le diceva: «Amore, ma io amo solo te, solo che sei troppo gelosa, sei ossessiva, questo tua gelosia patologica finirà con il farci lasciare».
Eccolo! Il senso di colpa! Immediatamente la donna, convincendosi di avere sbagliato e con un bel senso di colpa istillato dal suo bravissimo manipolatore, si ritirava in buon ordine e si scusava per le “infondate” accuse di infedeltà!
Questa donna è una di quelle che forse ce l’ha fatta. Una volta scoperti in modo inequivocabile i tradimenti di lui, ha affrontato un lungo percorso di terapia e una volta riacquistata la consapevolezza di se stessa e ricostruita l’autostima, ha urlato in faccia a lui tutte le condotte manipolative di cui è stata vittima, fino a quando è riuscita ad ottenere la tanto agognata ammissione da parte sua che, in effetti, le chiamate erano di altre donne e non di un cliente, di un amico o del fratello.

Ricordare le esperienze di sottilissima manipolazione subite da questa donna mi fa ancora venire i brividi. Questa è manipolazione, questa è violenza, questa è violenza psicologica che con l’andare del tempo porta il carnefice ad impadronirsi della mente della vittima, a farle un vero e proprio lavaggio del cervello e, quindi, ad acquisire potere su di lei!
Qualche giorno fa, una mia assistita, finalmente libera dal marito raggiunto da un ordine di allontanamento dalla casa familiare e dal conseguente divieto di avvicinamento alla moglie, mi raccontava che il giorno prima le era caduto un pacco di pasta per terra e, di istinto, si è girata indietro pronta per subire gli improperi del marito: «Non vali niente, hai visto cosa hai fatto? Cretina, stupida, non sai fare niente!». Ed invece… alle sue spalle non ha trovato nessuno a insultarla e a denigrarla e così si è riuscita pure a fare una sana risata, una risata liberatoria, una risata di libertà!
Il gaslighting inizia propri da lì, dagli insulti, dalle svalutazioni, da frasi del tipo: «Sei grassa, non ti si può guardare. Sei troppo magra! Ti si vedono le ossa, che schifo! Tu vuoi lavorare? Ah ah ah, tu non sei buona a nulla! Chi ti assume? Non vali niente, non sai cucinare, mia madre me lo diceva di non sposarti! Fortunato il mio collega, lui sì che ha una moglie come si deve, una signora, non una come te. Ti ho preso dalla strada, tuo padre e tua madre non avevano neanche i soldi per vestirti. Stupida, cretina, non ne fai una giusta, sei una madre pessima, non sai gestire i soldi di casa. Zitta, cosa capisci tu, non capisci niente!».

Una mia assistita la sera prima che il marito firmasse il ricorso per separazione consensuale e la liberasse dalla sua ingombrante presenza, l’ha costretta a dire «Io non valgo niente, io valgo solo perché sono tua moglie” e lei, in preda alla disperazione e all’esasperazione causata dalle violenze psicologiche e fisiche vissute nel tempo, ha pronunciato queste frasi per timore che lui non firmasse facendo continuare così il tormento al quale la sottoponeva.
Il giorno dopo, in presenza mia e di un altro collega, questo meraviglioso soggetto ha firmato la separazione consensuale, pago e tronfio dell’ultima umiliazione inferta alla moglie!
Un altro uomo, un noto professionista colto e apparentemente molto distinto (uno di quelli che fuori dalle mura domestiche è la classica persona molto stimata), dopo avere rotto, lanciandoli per terra alcuni oggetti di casa, tra cui un vaso molto pregiato, ha iniziato a urlare alla moglie di volere essere risarcito dei soldi per riacquistare le suppellettili rotte e quando la moglie gli ha risposto di non avere i soldi, ha iniziato a picchiarla e urlare: «Ora tu vai a fare la puttana e trovi i soldi!».
Questo soggetto non è mai stato denunciato, né nessuno immagina neanche minimamente chi sia perché la moglie ha sempre avuto vergogna e ha subito per una vita ogni genere di violenze.
Violenze di questo tipo annullano la personalità di chi le subisce, lacerano l’anima, indeboliscono l’autostima fino ad annientarla e tutto ciò fino a conseguenze anche gravissime sulle quali non mi addentro, atteso che non sono una psicologa.

Poi c’è la frase che tutte le donne vittime di violenza si sono di certo sentite dire: «Cosa fai tu per farmi reagire così!». Questa frase è insidiosissima perché mira a farvi credere che la colpa delle violenze è vostra, che lui è buono e che siete voi a scatenare in lui certe reazioni, mira a ledere la vostra autostima, a farvi sentire colpevoli. E più vi sentite colpevoli e più rimanete impietrite in una condizione di subordinazione, di immobilismo, di non reazione. Non ci cascate! Questa frase è un campanello d’allarme che non deve essere ignorato!
E allora, quando vi sentite a disagio durante una discussione, quando avvertite di essere manipolate, quando quello che dite viene stravolto e utilizzato contro di voi, quando le frasi che pronunciate vengono spezzate a metà e ripetute in modo distorto (ad es., se voi dite: «tu sei incapace di capire»; e lui ripete: «Io sono un incapace?» che significa tutt’altra cosa), quando iniziate a sentire un vuoto dentro, un senso di frustrazione, un senso di incomprensione, quando siete certe di avere visto un oggetto o sentito una parola e vi viene detto che l’oggetto non c’era o che la parola non è stata mai detta, state attente a riconoscere i segni della violenza psicologica che sta iniziando a colpirvi e che con il tempo potrà avere effetti devastanti sulla vostra personalità, sulla vostra emotività, sulla vostra testa, sulla vostra anima.

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Tags: calypsocentro antiviolenzaPilar Castigliaquel che le donne dicono
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