Fine al taglio dei vitalizi per gli ex senatori che avevano maturato il diritto all’assegno prima del 2012, anno in cui, adeguandosi alla riforma pensionistica, anche ai parlamentari è stato applicato il sistema contributivo e non più retributivo. È quanto prevede una delibera del Consiglio di garanzia del Senato*. Lo stop imposto con la crisi finanziaria al primo gennaio 2019 ai senatori di Palazzo Madama è finito il 13 ottobre 2022 e dunque avranno pure diritto a riprendere gli arretrati da quella data ad oggi. La decisione, sarebbe passata con un voto che – secondo quanto viene riferito da fonti parlamentari – ha visto il no dei componenti di Lega e FdI, il sì di un componente del consiglio ex M5s e l’astensione del Pd, mentre il presidente, l’azzurro Luigi Vitali, ha votato sì e, in caso di parità, vale per due. Da indiscrezioni di Stampa sembrerebbe che anche alla Camera desso si opterebbe per il ripristino dei vitalizi ai deputati.
Le norme che regolano i cosiddetti “vitalizi” sono una forma pensionistica che scatta al 65esimo anno di età e prevede che si maturi il diritto della quota per i cinque anni della legislatura, quando questa è arrivata a 4 anni, sei mesi e un giorno. Nel dicembre 2019 erano già 40 gli ex parlamentari che avevano vinto il ricorso contro le delibere degli Uffici di presidenza di Camera e Senato, che da gennaio 2019 avevano tagliato retroattivamente i loro vitalizi. La decisione era stata presa in nome “del diritto al mantenimento, all’assistenza e a un’esistenza libera e dignitosa”: alcuni erano definiti “indigenti o malati”. E c’erano ancora altre duemila domande da esaminare. I ricorsi accolti sono stati decisi in autodichia da tre Giudici interni alle Camere del Consiglio di giurisdizione della Camera. L’istituto dell’autodichia è una potestà che consente alle Camere, come ad altri organi costituzionali, di far giudicare le cause che le oppongono ai loro dipendenti a Giudici individuati al proprio interno. Sicché Camera e Senato decidono in autonomia quali regole applicare al loro interno, dai contratti dei collaboratori agli appalti, fino alla decisione sugli ingressi nei Palazzi. l’Italia è uno dei pochi paesi che continua a tenere in piedi questo imperscrutabile sistema. Di fatto le istituzioni che applicano l’autodichia somigliano a delle regge onnipotenti, come ad esempio il cerimoniale delle Camere che consente ai Presidenti di avere uno stuolo di commessi a proprio seguito e qualcosa di simile vale per i Segretari generali. Sono norme di cui non si capisce il senso democratico se non solo quello di volere la politica mantenere il proprio status per potere estendersi forzosamente come una organizzazione in ogni dettaglio della propria vita pubblico-sociale. In sostanza un principio giuridico a garanzia dell’indipendenza degli Organi costituzionali è stato trasformato in uno strumento di privilegio, dove chi produce le leggi è dispensato dal rispettarle, autogiudicandosi e sottraendosi alla legge ordinaria e a qualunque forma di controllo esterno, dalla Magistratura alla Corte dei Conti. Ed è bene ricordare che le Forze dell’ordine, Guardia di Finanza compresa, non possono entrare nei Palazzi parlamentari, a meno che non ci sia una richiesta espressa, sottoposta al Presidente del ramo del Parlamento interessato e che l’Ufficio di Presidenza deliberi sul punto: questo, ovviamente, non consente né l’effetto sorpresa né un’azione in tempi rapidi, soprattutto quando il Presidente dovesse ritenere necessaria una delibera dell’Ufficio di Presidenza sul punto. L’articolo 64 della Costituzione si limitava a prevedere l’adozione di un regolamento interno per ciascuna Camera. Su questa disposizione, nel tempo, ci sono state varie interpretazioni giuridiche (a evidente convenienza come sempre e come al solito da sempre in Italia). In 73 anni di vita repubblicana l’istituto è stato applicato, esteso e piegato agli interessi della casta politica. Da principio di garanzia dell’Organo parlamentare, l’autodichia è divenuta uno strumento di privilegio per chi ne fa parte. In pratica un Dna della Casta, il cuore stesso del sistema Italia, quello che di tutta evidenza ha consentito e consente al trasversale sistema partitocratico di vivere, riprodursi, alimentarsi, e diffondersi con metastasi inquinando ogni angolo della vita pubblica e sociale.
L’OPINIONE
E gli italiani comuni, produttivi, lavoratori, operosi, proprietari, come possiamo accettare tutto questo ? Siamo di fatto pressoché impotenti e assoggettai per legge (grazie a preordinata ignoranza scolastica in materia di Diritto e norme ingannevoli all’origine propugnate nei decenni da Governi e Parlamenti autoreferenziatisi ed autogarantitisi che hanno piegato le norme per i propri interessi e a quelli delle rispettive pletore). E forse siamo anche, gli italiani, irreversibilmente affetti dalla sindrome di Stoccolma, da anni inoculataci nei nostri neuroni da una subdola cultura ipocrita e da assoldati parolieri oppiacei di concittadini.
*Il Consiglio di Garanzia – previsto dall’art. 75 del Testo unico delle norme regolamentari dell’Amministrazione riguardanti il personale del Senato della Repubblica – decide sui ricorsi presentati contro le decisioni della Commissione contenziosa. È composto di cinque senatori nominati all’inizio di ogni legislatura dal Presidente del Senato, sentito il Consiglio di Presidenza. Essi sono prescelti tra i senatori in carica esperti in materie giuridiche, amministrative e del lavoro, che abbiano uno dei seguenti requisiti: – magistrato, anche a riposo, delle magistrature ordinaria e amministrative; – professore ordinario o associato di università in materie giuridiche, anche a riposo; – avvocato dello Stato, anche a riposo; – avvocato del libero foro. I componenti, tra i quali vengono eletti il Presidente ed il Vice Presidente del Consiglio di Garanzia, durano in carica tutta la legislatura; essi non sono immediatamente confermabili salvo i componenti supplenti che non siano stati mai chiamati a prendere parte – nella legislatura cessata – alle riunioni del Consiglio. L’incarico è incompatibile con quello di membro del Consiglio di Presidenza, della Commissione contenziosa e del Consiglio di disciplina. Congiuntamente ai membri effettivi sono nominati, con eguale procedura, cinque membri supplenti anch’essi scelti con i medesimi requisiti.
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