Interrogatorio di garanzia per l’ex vicesindaco di Santa Maria di Licodia che ha raccontato la sua versione dei fatti. Chiesta la revoca dell’ordinanza di custodia cautelare
Fase degli interrogatori per gli inquirenti chiamati a comporre il grande puzzle dell’operazione “I Vicerè”, condotta nei giorni scorsi fra Catania, Germania e Olanda, contro 109 presunti appartenenti alla cosca mafiosa dei Laudani.
I magistrati hanno ascoltato l’avvocato Salvatore Mineo, ex vicesindaco di Santa Maria di Licodia fra il 2012 ed il 2013, arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e di rivelazione di segreto d’ufficio.
Secondo quanto riporta il quotidiano on line Meridionews, il penalista licodiese, che svolgeva la sua attività a Paternò, ma anche a Biancavilla e Licodia, avrebbe risposto alle domande del Gip Ricciardolo e dei sostituti Trovato e Barrera, rinunciando alla facoltà di non rispondere.
Il legale di Mineo, Salvatore Caruso, che compone il collegio difensivo insieme al collega Giuseppe Gullotta, ha raccontato che il suo assistito avrebbe detto ai magistrati che le accuse mosse contro di lui dal collaboratore di giustizia Giuseppe Laudani, ex assistito di Mineo e nipote del capoclan Sebastiano Laudani, sarebbero una ritorsione nei suoi confronti, in quanto l’avvocato si sarebbe rifiutato di soddisfare alcune sue richieste. Caruso aggiunge: “Quando è stato chiesto a Laudani cosa avesse scritto nelle lettere che dice di aver consegnato al legale, avrebbe risposto di non ricordare, circostanza che sarebbe strana in quanto avrebbe, al contrario, dovuto ricordare quel che aveva scritto”.
Infine, sul passaggio di documenti riservati agli uomini del clan da una chiavetta USB di un maresciallo dei carabinieri, Mineo ha detto – nel corso dell’interrogatorio – che nulla collega la pendrive a lui in quanto chiunque all’interno del Palazzo di Giustizia avrebbe potuto ritrovarla o sottrarla, mettendola a disposizione degli indagati.
Caruso ha chiesto per Mineo la revoca dell’ordinanza di custodia cautelare.