Travolto dai debiti, il call center paternese fallisce e lascia sul lastrico seicento famiglie. Foti (Slc-Cgil): «Pratiche delinquenziali. Subito tavolo al Ministero dello Sviluppo»
Sei milioni e mezzo di debiti. La vicenda del call center Qè di Paternò è racchiusa tutta in questo numero, che alla fine non è nemmeno un numero, ma un buco: un buco nero che ha inghiottito un’azienda e, insieme ad essa, una città intera, Paternò. O meglio, la Paternò dei giovani, quelli del call center, insomma la “Generazione 1000 euro”, anche se da queste parti mille Euro tutti insieme di stipendio non era facile vederli. Call center, un lavoro per il quale non ci vuole la laurea, ma che ha dato di che vivere a tanti laureati che, chiusi nel cassetto i propri sogni, hanno fatto i conti con la realtà: meglio questo che un lavoro in giro per l’Italia, che poi nemmeno si trova.
E fa niente se i progetti di vita, di coppia, di famiglia si rinviano, oppure se si mettono in pratica con uno stipendio che non basta: “c’è questo, teniamocelo; poi vedremo”. Il fatto, adesso, è che non c’è più nemmeno il call center, e non ci sono più nemmeno i mille Euro, che alla fine non erano nemmeno mille.
I “ragazzi” da salvare da quel buco sono 585: a Paternò in ogni famiglia ce n’è uno che lavora al call center. Le commesse della Qè erano importanti, nomi come Enel energia e Transcom che facevano sentire i lavoratori in una botte di ferro. E invece…
E invece ad aprile 2015 è iniziata la cassa integrazione e un anno dopo il licenziamento per duecento a progetto. Nello scorso mese di maggio i contratti di solidarietà che hanno evitato i 90 esuberi richiesti dall’azienda. Ma da maggio non si pagano gli stipendi e non si ricevono nemmeno i contributi Inps.
Argenterio, il proprietario, ha scavato quel buco nero e c’ha messo dentro tasse e commesse non pagate: c’è il fisco e c’è la Di Bella Group che tra affitti ed azioni chiede 700 mila Euro. E poi i versamenti contributivi che ammontano a 400 mila euro, e tre mensilità arretrate di stipendio. E c’è anche l’evasione fiscale per l’Iva non pagata.
Lunedì scorso la situazione Qè è venuta alla luce in tutta la sua drammaticità: l’azienda di Manerbio (l’impresa ha sede nel comune bresciano), ha una procedura fallimentare in corso che non permette piani di sviluppo o eventuali acquisizione di commesse in grado di aumentare la produttività aziendale. Al tavolo tecnico in Prefettura Gpi e Transcom, che volevano acquistare il call center, hanno fatto un passo indietro. Anche l’affitto di parte dell’azienda sembra allontanarsi. L’unico salvataggio sarebbe, ma solo per 90 lavoratori, il subentro nelle commesse Wind ed Enel. E adesso che si fa?
I sindacati – che stanno riorganizzando la controffensiva – chiedono la convocazione di un tavolo di concertazione nazionale al Ministero dello Sviluppo economico: due commesse riguardano aziende di emanazione o partecipazione statale (Enel e Inps). C’è anche l’ipotesi di applicare la clausola sociale: i lavoratori seguono la commessa a cui lavoravano, dunque assunzione nell’impresa che subentra.

Davide Foti, Segretario provinciale Slc-Cgil, dichiara a Yvii24: «La vicenda Qè è apicale nel panorama “delinquenziale” che caratterizza questo settore delle telecomunicazioni, in cui operano imprenditori del Nord che scappano dopo aver lucrato il massimo possibile. Siamo davanti ad una vicenda che riguarda seicento famiglie ed è ovvio che la tensione sociale sia altissima. Da parte nostra siamo in campo a tutela dei lavoratori, per garantire il rispetto delle leggi e la continuità lavorativa. È essenziale aprire un tavolo al Ministero dello Sviluppo economico, ma è chiaro – conclude Foti – che le istituzioni locali non devono rimanere sorde dinanzi alla drammatica vicenda che, oggi, riguarda seicento lavoratori».