Dopo oltre 20 anni di proroghe che ne hanno mediamente spostato in avanti la scadenza di 6 mesi, quest’anno la finestra entro cui gli Enti locali potevano approvare il bilancio di previsione * si è ufficialmente chiusa il 15 marzo. Nella Penisola sette comuni su dieci già a metà febbraio avevano approvato e trasmesso questo fondamentale documento di programmazione finanziaria, alla data del 15 marzo la percentuale di comuni in linea con i tempi scanditi dal ministero era salita all’84%. Un risultato di netta rottura rispetto al passato che testimonia l’efficacia delle misure adottate lo scorso anno dal Ministero dell’Economia per interrompere il circolo vizioso dei posticipi infiniti che aveva caratterizzato gli ultimi decenni. Ciò che emerge è però, ancora una volta, anche l’esistenza di divari siderali tra varie aree del Paese che vede contrapposti casi come quello siciliano, dove solo 30 comuni su 100 risultano aver approvato e trasmesso il bilancio, e la Valle d’Aosta e l’Emilia Romagna, dove questa percentuale sale al 96%. Lo scrive nel suo report il Centro Studi Enti Locali.
Bilanci comunali di previsione, solo il 30% li ha approvati in tempo
Sebbene ordinariamente la scadenza per l’approvazione del bilancio di previsione degli enti locali sia fissata al 31 dicembre dell’anno precedente a quello cui il bilancio si riferisce, di fatto questa data è sempre stata una chimera raggiunta solo da una sparuta minoranza di enti virtuosi. Tutti gli altri hanno storicamente “approfittato”, in misura massiccia, delle generosissime proroghe che, anno dopo anno, hanno spostato sempre più avanti questa scadenza. Tra il 2004 e il 2023 mediamente sono stati concessi agli enti 6 mesi in più di tempo. L’anno scorso il termine è scivolato fino a settembre ma il record negativo era stato toccato nel 2013 quando la scadenza rimbalzò di mese in mese fino ad approdare al 30 novembre; praticamente a un passo dalla chiusura dell’esercizio, vanificando di fatto il senso stesso dell’adempimento. La chiusura dei giochi entro metà marzo di quest’anno rappresenta quindi una piccola grande rivoluzione nel mondo delle amministrazioni locali. A innescarla è stato principalmente un decreto ministeriale, datato luglio 2023, che ha riscritto il calendario delle scadenze contabili prevedendo un’apertura del processo di bilancio degli enti locali già dal 15 settembre e imponendo una serie di tappe intermedie che accompagnano gli enti verso la predisposizione di un bilancio che dovrebbe poi essere inderogabilmente approvato entro il 31 dicembre, pena l’applicazione di pesanti sanzioni. Questo approccio così ferreo non ha retto del tutto il banco di prova dell’esordio. Il 22 dicembre scorso è stata, difatti, concessa una proroga di 2 mesi e mezzo. Resta però il dato positivo e senza precedenti nel recente passato che ben 4.695 comuni, il 59% del totale, ha iniziato l’anno corrente con un bilancio di previsione già approvato e non si è avvalso del tempo aggiuntivo concesso dal Viminale.
Bilanci comunali di previsione, solo il 30% li ha approvati in tempo
Ma quali sono gli enti che non sono invece riusciti a stare al passo con il nuovo “calendario” delle scadenze contabili? Stando a quanto emerso da un’elaborazione di Centro Studi Enti Locali, basata sui dati della Banca dati delle Amministrazioni Pubbliche (Bdap-Mef), sono stati approvati entro il 15 marzo scorso i bilanci dell’84% dei comuni italiani. All’appello mancano quelli di 1.268 comuni. Questi enti hanno un profilo abbastanza preciso: la stragrande maggioranza è di piccole dimensioni. Nove di questi comuni su dieci hanno infatti meno di 10mila abitanti e il 64% è localizzato al sud e nelle isole. Nel nord Italia, nel suo complesso, risulta essere stato già trasmesso al Mef il 92% dei preventivi. In particolare, spiccano per efficienza: Emilia Romagna e Valle d’Aosta (entrambe a quota 96%) e Trentino Alto Adige e Veneto (95%). Ottimi anche i risultati registrati in: Lombardia (93%), Friuli Venezia Giulia (90%) e Piemonte (89%). Chiude il cerchio la Liguria, con l’85% di comuni adempienti. Scendendo verso sud la percentuale decresce gradualmente, restando comunque buona al centro, dove mediamente sono stati già approvati e trasmessi 89 bilanci su 100. A trainare verso l’alto questo gruppo sono soprattutto Toscana (95%), Marche e Umbria (93%). Più indietro i comuni laziali, fermi a quota 81%. Meno rosea, ma comunque in netto miglioramento rispetto al passato, la situazione del Mezzogiorno dove i comuni più tempestivi sono stati 6 su 10. In particolare, le 3 regioni in assoluto più distanti dalla media nazionale sono – nell’ordine – la Sicilia, la Calabria e la Campania. Nella banca dati gestita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, alla data del 24 aprile, risultano essere stati acquisiti soltanto 117 bilanci di previsione di comuni siciliani su 391, meno di uno su tre. Al di là dello Stretto ne sono stati trasmessi 236 su 404 (58% del totale), in Campania il 67% dei preventivi sono stati approvati nei tempi. Prima della classe, per quanto riguarda il meridione, è la Basilicata (92% di bilanci approvati), seguita a breve distanza dalla Sardegna (88%) e dalla Puglia (86%). Chiudono il cerchio l’Abruzzo e il Molise, rispettivamente con l’80% e il 77% di comuni che hanno già inviato al Ministero il proprio preventivo. Secondo Centro Studi Enti Locali questi dati, nel loro insieme, testimoniano un effetto tangibile prodotto dalla nuova programmazione introdotta dal Dm. Mef del 25 luglio 2023 che ha positivamente innescato una spinta ad anticipare la fase di programmazione finanziaria restituendo centralità a questo adempimento che ha rischiato, a lungo, di veder svuotato il proprio senso a causa di una tendenza alla procrastinazione perpetua.
Bilanci comunali di previsione, solo il 30% li ha approvati in tempo
Di contro, ciò che preoccupa è la distanza abissale che continua a caratterizzare i risultati ottenuti da enti di territori diversi. Occorre interrogarsi sulle vere ragioni profonde che imbrigliano l’operato di certi comuni, soprattutto del sud Italia, e individuare delle risposte efficaci per supportarli. Il processo di riforma della contabilità e dell’ordinamento degli enti locali, i cui cantieri sono aperti, dovrà necessariamente tenere conto anche delle criticità finanziarie e organizzative, ormai strutturali ed endemiche, di alcuni territori e individuare delle soluzioni efficaci per far sì che queste distanze siano colmate.
* Il bilancio di previsione è il documento contabile che espone in maniera sistematica il reperimento e l’impiego delle risorse pubbliche, come definiti dalle norme vigenti, rappresentando perciò il principale riferimento per l’allocazione, la gestione e il monitoraggio di entrate e spese. Pertanto rappresenta un documento programmatico tramite il quale l’Ente locale autorizza le uscite che i singoli assessorati potranno sostenere nel corso dell’anno seguente (esercizio).
L’OPINIONE
Come da sempre ho sostenuto, ciò che anche dovrebbe essere ripristinato, con urgenza, prima della “soglia di non ritorno” (ancora più: corruttiva, concussiva, spartitoria, arraffatrice, omertosa, magniloquente, accidiosa, senza etica, deontologia, fini e interessi comuni; dell’odierna “opacità” comunale, risaputamente costituzionalizzatasi con “premeditate” leggi ad hoc per il generalizzato sistema pubblico-politico-sociale) è la partecipazione efficace del cittadino alla gestione della Cosa pubblica, almeno nel proprio Comune, reintroducendo a livello regionale un Organo amministrativo – ma con dentro a rotazione anche un magistrato e tre ufficiali delle rispettive nostre Forze dell’ordine quali, Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza – al quale, i sempre più “marginalizzati” cittadini ancora di sana volontà (chiaramente pure assumendosene la responsabilità) possano rivolgersi in modo snello e senza costi (così senza neanche doversi “suicidare” nel “tenebroso” sistema giudiziario italiano e specialmente siciliano). Urgente è farlo soprattutto in Sicilia, anche per debellare, dalle “compiacenti” fondamenta, la mafia, notoriamente “parallela” al sistema pubblico-politico-professionale-imprenditoriale (“Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”). Il resto dei proclami politici e istituzionali, appare come gli edulcorati discordi di fine anno per trasversali pletore di “codazzi” nonché, in crescendo, per anestetizzati cittadini “sonnambuli, ciechi e senza meta”.