Con sentenza depositata il 27 luglio ultimo scorso la Corte costituzionale “… nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Siciliana 28 dicembre 2020, n. 33 (Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2020 e per il triennio 2020-2022. Modifiche di norme in materia di stabilizzazione del personale precario), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 1°-9 marzo 2021, depositato in cancelleria il 4 marzo 2021, iscritto al n. 17 del registro ricorsi 2021 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2021 …“ ha dichiarato illegittima l’intera legge e quindi le rispettive variazioni al bilancio di previsione della Regione Siciliana. La norma dell’allora Governo-centrodestra di Nello Musumeci (attuale Ministro del Mare e della Protezione civile), ora cassata, riguardava le Variazioni al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2020 e per il triennio 2020-2022, in particolare in essa era contenuta la materia di stabilizzazione del personale precario. La norma venne impugnata innanzi ai Giudici costituzionali nel 2021 dall’allora premier Mario Draghi, poiché approvata in difformità all’articolo 81 della Costituzione, per il quale la copertura finanziaria delle spese deve essere certa ed attuale. La Consulta ha infatti accolto il ricorso in quanto la Regione Siciliana ha un disavanzo in corso di 1,7 miliardi, ereditato dalla precedente Giunta, dapprima da ripianare in tre anni e di recente concesso dallo Stato in dieci. Prima che la diluizione del debito in dieci anni fosse autorizzata, era intervenuto un accordo tra Stato e Regione per una variazione di bilancio di circa 420 milioni di euro presi dal “Fondo Covid” per la stabilizzazione del personale precario. Per I Giudici costituzionali quei soldi “rappresentano una misura straordinaria, finalizzata a ripristinare l’equilibrio dei bilanci degli enti che si erano visti diminuire le entrate fiscali a causa del blocco delle attività” sicché “non possono essere impiegati per sostenere oneri ulteriori e diversi, che finiscono per incrementare il disavanzo”.
«Abbiamo preso atto dell’ultima sentenza della Consulta ma si tratta di un atto che non produce alcuna ripercussione negativa sull’equilibrio e la stabilità dei conti regionali. Siamo determinati a proseguire nel percorso di riordino finanziario dell’ente e di proficua collaborazione con tutti gli organi dello Stato, anche nell’ottica di ridurre sempre più i contenziosi in sede costituzionale e accrescere la credibilità della nostra Regione». Così il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani, commentando il contenuto della sentenza 165/2023 sull’illegittimità della clausola di salvaguardia contenuta nelle Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2020 e per il triennio 2020-2022.
«Possiamo accogliere con serenità l’autorevole giudizio della Corte – dice l’assessore all’Economia Marco Falcone – poiché la norma impugnata era già stata abrogata dal legislatore regionale lo scorso dicembre. Si trattava, infatti, di una clausola di salvaguardia del valore di 421 milioni, maturata nel 2020 nell’ambito delle misure di recupero del disavanzo aggiuntivo della Regione rilevato nel 2018. L’utilizzo di tali fondi sarebbe scattato qualora l’iter legislativo del piano di rientro decennale, pattuito fra Stato e Regione, non si fosse completato. La norma era stata impugnata dal Consiglio dei ministri per la genericità con cui si individuavano le coperture della clausola. Oggi, tuttavia, parliamo di una norma superata, la cui abrogazione era stata anche caldeggiata dal Ministero delle Finanze già nei mesi scorsi», conclude Falcone.
Nell’immagine di copertina Il Palazzo della Corte Costituzionale a Roma
Seguici su tutte le nostre piattaforme social cliccando questo link https://linktr.ee/yviitv e rimani sempre aggiornato