L’obiettivo prende le mosse dell’iniziativa dell’Archeoclub
Fino al 1954 era l’unica parrocchia di Paternò, ma le informazioni storiche che la riguardano sono molto scarse, si tratta della basilica di “Santa Maria dell’Alto”, situata sulla Collina storica. Con l’iniziativa “Chiese aperte”, che ha avuto luogo lo scorso week-end in tutt’Italia, si vuole cogliere l’opportunità di avviare una serie di studi congrui per ridare alla chiesa della “matrice” un profilo storico-artistico dettagliato, probabilmente partendo già dalla fase precristiana.
Un convegno ospitato all’interno della chiesa ha chiarito quest’intento, ad aprire i lavori il parroco don Salvatore Patanè e il presidente dell’Archeoclub d’Italia sezione Hybla Major, Francesco Finocchiaro che ha spiegato l’iniziativa: «Questa iniziativa si chiama “Chiese aperte” è un evento nazionale, organizzato dell’Archeoclub nazionale e dalla Conferenza Episcopale Italiana, l’obiettivo è di valorizzare e quindi far conoscere al grande pubblico il patrimonio di chiese sparse in tutto il territorio italiano, in particolare quelle chiese che hanno bisogno di una maggiore valorizzazione, di una maggiore conoscenza.
In questo senso le due sedi dell’Archeoclub d’Italia di Paternò, quella denominata Paternò e quella Hybla Major hanno scelto due chiese rispettivamente Cristo al Monte e Santa Maria dell’Alto. Noi di Hybla Major stiamo lanciando una campagna di ricerca in collaborazione con l’Istituto Tecnico Economico “Russo” di Paternò, insieme con la parrocchia di Santa Maria dell’Alto, e appunto il nostro gruppo di ricerca, cercando di approfondire tutta una serie di questioni legate alla morfogenesi di quest’impianto basilicale, cioè vedere di individuare dalla sua fase precristiana alla fase cristiana la sua storia».
Ad occuparsi dei cenni storici è stato l’architetto Antonio Caruso come tecnico della parrocchia di Santa Maria dell’Alto, evidenziando l’esiguità di notizie sulla chiesa: «Il vero problema, che cercherò di mettere in evidenza, è che questa Matrice nonostante sia uno degli edifici più importanti della città non è stato mai studiato in maniera approfondita. Abbiamo quattro notizie precise che si tramandano, ma senza approfondimenti documentali, per cui sono più le cose non conosciute che quelle conosciute, e questo momento e, quello che verrà soprattutto dopo, auspichiamo che possano essere momenti di conoscenza, momenti in cui si comincino a mettere dei punti fermi sulla storia di quest’edificio».
Considerata la carenza di informazioni, di documenti storici, lo studio può partire dalle epigrafi come già ha iniziato a fare lo storico Francesco Giordano: «La storia della chiesa non si fa esclusivamente con i documenti scritti, ma la si può ricostruire con la lettura delle fonti materiali, non solo l’architettura, ma anche le opere d’arte che nel corso dei secoli sono state realizzate e collocate all’interno della chiesa e anche acquisite da altre chiese. Non solo, la novità è lo studio delle epigrafi che si trovano all’interno di Santa Maria dell’Alto, la più antica è del 1342 e riguarda una ricostruzione, una rifondazione di questo luogo, di questa chiesa madre, mentre l’ultima è stata collocata nel 2010 per commemorare Giovan Battista Nicolosi. Quindi lo studio dell’epigrafia dell’arte come segni per la ricostruzione della storia di questa chiesa».
Per una ricostruzione puntuale delle fasi salienti della storia della chiesa della “Matrice” non si può prescindere dal momento dell’istituzione del capitolo, come ha ben spiegato il docente Antonio Arena: «Il capitolo era l’organo collegiale che era preposto alla cura delle anime, nell’unica parrocchia di Santa Maria dell’Alto, perché fino al 1954 a Paternò vi era solo una parrocchia, ed era, Santa Maria dell’Alto, vi erano altre chiese che erano considerate filiali dell’unica parrocchia. Mentre in una parrocchia troviamo un parroco che ha la cura delle anime, per Santa Maria dell’Alto, il vescovo di Catania, Monsignor Caracciolo volle, nel 1559, costituire una comunia, cioè un collegio di sacerdoti, che svolgeva i compiti del parroco, del presbitero chiamato a reggere la parrocchia, poi nel 1670 questa comunia divenne un vero e proprio capitolo ed era strutturato in quattro dignità: il prevosto, il cantore, il tesoriere e il decano; poi c’erano dodici canonici che supplivano all’assenza delle dignità, tutti quanti assieme avevano la cura delle anime, svolgevano il ministero pastorale al servizio della comunità ecclesiale di Paternò, e questo capitolo è perdurato fino a nostri giorni. L’anno scorso, il 3 dicembre, abbiamo ricomposto il capitolo, Monsignor Gristina ha approvato un nuovo statuto e il giorno 3 dicembre i nuovi canonici, cioè coloro i quali ancora non avevano ricevuto la mozzetta violacea, ossia il segno della dignità capitolare, l’hanno ricevuta proprio in questa chiesa di Santa Maria dell’Alto».