La Direzione Investigativa Antimafia di Palermo, con l’operazione “Nemesi” ha dato esecuzione ieri a Ordinanza cautelare emessa dal Tribunale di Palermo, su richiesta della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia panormita, con cui è stata disposta la misura della custodia in carcere nei confronti di un imprenditore della ristorazione e logistica, 68enne di Carini, Giovanni Palazzolo, ritenuto organico a ‘cosa nostra’ più specificatamente alla locale famiglia mafiosa, ricompresa nel mandamento di San Lorenzo – Tommaso Natale. Secondo gli inquirenti riciclava il denaro della cosca e aveva un informatore nella Guardia di Finanza.
LE INDAGINI
L’indagine condotta dal Centro Operativo DIA di Palermo, convenzionalmente denominata “Nemesi”, durata circa due anni, ha consentito di acquisire, a carico dell’imprenditore operante nel settore dell’edilizia, della logistica e della ristorazione, gravi indizi di colpevolezza in ordine alla propria appartenenza al sodalizio illecito, concretizzatasi, tra l’altro, nell’avere partecipato a riunioni aventi ad oggetto la programmazione delle attività criminali, assicurato assistenza al capo mafia LO PICCOLO Salvatore nel corso della sua latitanza, riscosso il denaro provento delle attività estorsive, reimpiegandolo e riciclandolo, garantito continui e costanti contatti occulti con l’Amministrazione e gli uffici della municipalità di Carini, così consentendo alla conventicola criminale di avere rappresentati i propri interessi in seno a detto Ente locale. Sul punto, le acquisizioni investigative hanno offerto puntuale e convergente riscontro alle dichiarazioni – riconosciute attendibili – di collaboratori di giustizia già in passato ritenuti importanti esponenti della famiglia mafiosa di Carini, i quali hanno concordemente riferito in ordine al qualificato rapporto dell’imprenditore con esponenti di sicuro rango apicale del citato mandamento mafioso palermitano di San Lorenzo – Tommaso Natale e al suo ruolo di elemento di collegamento tra la famiglia mafiosa in argomento e l’Amministrazione comunale carinese.
Arrestato imprenditore della ristorazione ritenuto organico a ‘cosa nostra’
I collaboratori di Giustizia, Antonino Pipitone e Gaspare Pulizzi, per anni co-reggenti della cosca: “Se c’era un problema al Comune (di Carini ndr) si parlava con Giovanni, era come un tramite tra il Comune e la famiglia”, ha detto Pulizzi agli investigatori. Il collaboratore ha sostenuto inoltre che Palazzolo facesse investimenti per conto della cosca. “Giovanni c’ha i soldi della famiglia,” ha spiegato, precisando che l’imprenditore e il boss Vincenzo Pipitone erano soci occulti in una operazione che avrebbe consentito al boss di investire in una serie di attività edilizie. Rilevanti anche le accuse del pentito Pipitone che ha raccontato che Palazzolo aveva corrotto funzionari del Comune per consentire una serie di lottizzazioni che interessavano ad alcuni imprenditori. “Era a disposizione per tutti e nel periodo della mia reggenza era addetto al Comune di Carini e interferiva sia con il sindaco che con gli uffici tecnici”.
Arrestato imprenditore della ristorazione ritenuto organico a ‘cosa nostra’
L’imprenditore Palazzolo disponeva anche di un informatore nella Guardia di Finanza, un luogotenente, arrestato contestualmente ieri è accusato per rivelazione di segreti d’ufficio. Avrebbe rivelato a Palazzolo l’esistenza di un procedimento aperto sulla sua impresa, la Trinacria Immobiliare, a seguito di una richiesta di informazioni avanzata dalle fiamme gialle di Modena. Oggetto del procedimento era l’iscrizione della impresa, con sede in Emilia, nella white list della Prefettura di Modena. Il sottoufficiale finanziere avrebbe concordato con Palazzolo i contenuti della risposta da inviare ai colleghi modenesi, omettendo informazioni che avrebbero potuto compromettere il buon esito della pratica. Per ringraziarlo del favore Palazzolo gli avrebbe fatto capire di essere disponibile ad assumere suoi familiari.
NOTA
Giova precisare che la responsabilità penale delle condotte elencate sarà definita solo dopo l’emissione di eventuali sentenze passate in giudicato, in ossequio al principio costituzionale della presunzione di innocenza.