I legali dei parenti del pensionato ucciso dalla moglie, Vincenzo Nicolosi ed Alfina D’Oca, in un comunicato manifestano “apprezzamento” per la decisione di trasferire l’imputata in un’altra residenza e puntualizzano alcune inesattezze di “stampa”
Comunicato stampa degli avvocati difensori delle parti civili costituite nel processo per la morte del pensionato Alfio Longo, ucciso nello scorso mese di agosto alle “Vigne” di Biancavilla dalla moglie Vincenzina Ingrassia, reo confesso dell’omicidio. I legali, mostrando apprezzamento per il cambio del luogo ove era detenuta l’imputata, precisano anche alcuni aspetti emersi in queste settimane.
Di seguito la missiva
Gli avvocati Vincenzo Nicolosi ed Alfina D’Oca quali difensori delle costituite parti civili, Longo Vincenzina, Cantarella Rosetta e Cantarella Salvatore, nel procedimento penale che vede imputata la sig. Ingrassia Vincenza per il reato di omicidio aggravato commesso ai danni del marito sig. Longo Alfio, desiderano esprimere il loro apprezzamento per la decisione presa dal GIP con la quale si autorizza il cambio del luogo ove era detenuta l’imputata, in applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, con altro luogo di detenzione.
In effetti il collocamento presso la struttura di “Croce al Vallone” appariva, a nostro parere, inadeguata attesa la vastità della stessa che permetteva alla detenuta di avere una notevole libertà di movimento, nonché la facilità di contatti con un numero notevole di visitatori della struttura, la maggior parte dei quali di Biancavilla, che di fatto eludeva il provvedimento restrittivo degli arresti domiciliari e creava il pericolo di contatto con l’esterno della struttura.
Le nostre perplessità venivano riscontrate anche dai Carabinieri della stazione di Biancavilla preposti alla vigilanza della detenuta agli arresti domiciliari, i quali con la nota di servizio n. 46/86-18 indirizzata alla Procura della Repubblica riferivano quanto testualmente segue: “è stato constatato che vi è difficoltà a reperire prontamente la Ingrassia per i previsti controlli per la vasta estensione interna ed esterna della casa protetta, che le permette inoltre di poter comunicare liberamente con persone diverse dal personale della struttura”.
Cosa che si poneva in contrasto con quanto stabilito con ordinanza dal Tribunale del riesame il quale aveva prescritto all’uxoricida “di non allontanarsi dalla struttura senza la preventiva autorizzazione dell’Autorità giudiziaria e di non comunicare con persone diverse dal personale della struttura e dal difensore”. La decisione del Giudice appare, pertanto, adeguata e conforme alla condizione di detenuta dell’imputata, perché tiene conto delle esigenze cautelari in attesa della definizione del processo e, quindi, della necessità di mantenere una condizione che seppure di arresti domiciliari, sempre condizione detentiva rimane.
Cogliamo inoltre l’occasione per precisare e chiarire che alcune informazioni che sono apparse sulla stampa appaiono parziali, incomplete nonché in alcune parti inesatte.
1) Abbiamo letto in alcuni articoli apparsi su giornali on-line che, per il caso di specie, sarebbero da valutare le eventuali attenuanti, derivanti dai maltrattamenti subiti dal marito in quarant’anni di vita matrimoniale. Lo scritto, oltre che tecnicamente errato, atteso che l’art 62 del codice penale, nell’elencare le circostanze attenuanti, non prevede tra le stesse i maltrattamenti come circostanza attenuante tipica, appare irresponsabile, inopportuno e pericoloso per il messaggio che da esso promana e cioè quello secondo il quale chi subisce presunti maltrattamenti è legittimato ad uccidere il marito e godere di particolari sconti di pena dovuti all’applicazione di circostanze attenuanti (non codificate). Il messaggio è fuorviante e pericoloso perché sembra istigare e spingere le donne, vittime di violenza, a farsi giustizia da sé anziché utilizzare i molteplici strumenti previsti dalla legge per la tutela e protezione di chi subisce violenza.
2) In merito alla scelta del giudizio abbreviato si sottolinea che è errato scrivere che il Giudice lo ha “ammesso”. Stabilisce infatti l’art. 438 del codice di procedura penale che “L’imputato può chiedere che il processo sia definito all’udienza preliminare allo stato degli atti” quindi con giudizio abbreviato. Aggiunge poi al quarto comma che: “Sulla richiesta il Giudice provvede con ordinanza con la quale dispone il giudizio abbreviato”. Pertanto nel momento in cui l’imputata ne fa richiesta, il giudizio abbreviato va disposto necessariamente, senza che ci sia possibilità per il Giudice o per le altre parti del processo di interloquire su tale scelta.
3) Diversa è invece l’ipotesi del Giudizio abbreviato “condizionato” che dà alle parti la possibilità di interloquire e al giudice di decidere se accoglierlo o meno. Nel caso di specie evidenziamo che la difesa dell’imputata aveva avanzato la richiesta di giudizio abbreviato “condizionato” all’espletamento di perizia psichiatrica. Su tale richiesta il Pubblico Ministero e la difesa delle parti civili si opponevano fermamente ed il Giudice, facendo proprie le opposizioni formulate, rigettava la richiesta della difesa dell’imputata affermando che dalla lettura degli atti del processo emerge una lucidità nell’esecuzione del delitto, nonché nella fase successiva di “messa in scena” della rapina, tale che non sia possibile dubitare della capacità di intendere e di volere dell’imputata. Tale decisione risulta di notevole importanza in quanto spiana la strada ad una condanna certa.
Tanto si doveva.
Avv. Alfina D’Oca
Avv. Vincenzo Nicolosi