Innanzi alla Commissione bicamerale parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, composta da 25 deputati e da 25 senatori, con sede a palazzo San Macuto a Roma, la cui presidente è la deputata Colosimo Chiara di Fratelli d’Italia, sono stati ieri auditi in audio-visiva pubblica, Lucia Borsellino e Fabio Trizzino, legale di Lucia (e marito), Manfredi e Fiammetta Borsellino.
Una breve premessa: il magistrato Paolo borsellino venne ucciso nella strage di via D’Amelio avvenuta la domenica del 19 luglio 1992 in cui morirono anche cinque agenti di scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, risvegliatosi in ospedale dopo l’esplosione, in gravi condizioni.
“Ci siamo convinti – ha detto Lucia Borsellino alla Commissione nazionale parlamentare antimafia – che le altre piste che sono state solcate non hanno del tutto o per niente considerato atti e documenti e prove testimoniali che potessero fornire elementi indispensabili per comprendere il contesto nel quale mio padre operava e il profondo stato di prostrazione che lui ha vissuto nella sua vita. Ciò che chiediamo, nel massimo rispetto delle istituzioni senza voler sostenere alcuna tesi perché non siamo tecnici, è di offrire una ricostruzione operata su una mole di atti e testimonianze”.
Fabio Trizzino legale della famiglia del magistrato Paolo Borsellino ucciso da Cosa Nostra trentuno anni fa, nella sua lunga audizione durata oltre un’ora e mezza, ha richiamato gli ambienti della Procura di Palermo di allora, nel 1992, ponendo sullo sfondo le vicende collegate all’ormai noto dossier “mafia appalti’’, che sarebbe il movente della strage di via D’Amelio. Il legale ha quindi riportato una dichiarazione già conosciuta ma che – specifica l’avvocato Trizzino – rimaneva sempre incompleta. La testimonianza è quella resa dalla vedova Agnese Piraino, moglie di Borsellino, in cui lui dice “Mi uccideranno ma non sarà una vendetta della mafia. La mafia non si vendica, forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno i miei colleghi e altri”.
«Quel riferimento a “I miei colleghi” è stato costantemente rimosso – evidenzia l’avvocato Trizzino – Se noi incrociamo questa confidenza di Borsellino con la testimonianza del 2009 in cui si dice che lui definiva il suo ufficio “un nido di vipere” allora dobbiamo andare a cercare dentro l’ufficio della procura di Palermo per vedere se allora si posero in atto condotte che in qualche modo favorirono quel processo di isolamento, delegittimazione, indicazione come target e obiettivo di Paolo Borsellino: sono quelle condizioni essenziali che hanno sempre proceduto gli omicidi eccellenti a Palermo».
Per questo, ne è convinto l’avvocato Trizzino «bisogna ora andare a vedere se già nel ‘92 vi erano elementi sulla cui base ricostruire le dinamiche comportamentali che avevano potuto giustificare quell’affermazione incredibile».
La presidente della Commissione nazionale Antimafia Chiara Colosimo ha dichiarato alla fine dell’audizione “Credo che dovremmo chiedere perdono se non siamo riusciti in tutti questi anni a dare una risposta alle tante domande che fin qui ci avete posto, con sofferenza e amore. Abbiamo sentito il cuore batterci nei timpani. Vorrei che di questa Commissione non si avesse mai a dire che non si è fatto quello che si doveva fare”.
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